“Fàtece largo che passamo noi,
le giovinotte de l’ Italia bella…”
E’ il grido di guerra delle duedue nuove sindachelle di questa squinternatissima terra italica (altro che “Italia bella”!), due taumaturgiche vispe Terese appartenenti all’esotica tribù dei cri-cri-cri, che una giuliva cometa in vena di scherzi proveniente dalla galassia nana NGC 4605 – distante 16 milioni di anni luce – ha trasportato sul nostro pianeta, tribù della quale trovate dettagliate notizie nei più autorevoli ed aggiornati manuali antroposoficosiderurgici, nonchè in quelli che trattano di bassa politica.Gli appartenenti alla suddetta stirpe provengono proprio da distanze siderali, cioè da un altro mondo; l’ emerita “società dei magnaccioni” a cui appartengono tutti gli altri politici italiani per loro è una schifezza e non perdono occasione per scriverlo, per dirlo, per dididirlo, per ribadirlo, per ririribadirlo, per strillarlo, per urlarlo a squarciagola; loro vivono di pane e acqua, loro non rubano, loro sono puliti – si lavano sette volte al giorno – , loro pensano solo al bene del cosiddetto popolo sovrano (di cos’è ‘sovrano’ il popolo?), loro combatteranno fino all’ultimo sangue il male che impera ovunque (“Vincere o morire: alalà !”), loro qui, loro là, loroloroloro: vogliono ricostruire questa sfasciata Italietta a loro immagine e somiglianza, loro tirano sempre diritto;
i battaglioni “G”, quelli del DucettoGrilletto, eseguono ciecamente e biecamente tutto quanto proclama il loro profeta, ‘sto buffone di corte che ha fatto dell’ insulto e del vilipendio la sua arma prediletta, forse l’ unica che questo Draghignazzo usa e della quale abusa: ma poiché la speranza è l’ultima a morire (“Spes ultima dea“, dicevano gli antichi Romani) aspettiamo che i cri-cri-cri ritornino lassù, da dove sono partiti.
A Roma l’ha spuntata VirginiaRaggidiLuna, a Turin invece BirraChiaraAppendino: e vabbè. Vi risparmio le loro celestiali fattezze, tanto le potete contemplare su gazzettini e gazzettoni, bollettini e bollettoni di TuttItalia; mi limito dunque a dedicare due poesie del grandissimo romano – e romanesco – TRILUSSA (1871-1950) alle suddette madamigelle e a chi le ha votate, sperando che prima o poi – magari in preda a un raptus di lucidità – qualcuno o tanti o tantissimi se ne pentano più o meno amaramente: mai mettere limiti al Fato! Nella prima poesia è citata “Roma“: aggiungiamo “Turin” e Les jeux sont faits !, così non facciamo torto a nessuna delle due. E dunque, in attesa della prossima pantomima, sotto a chi tocca.
DOPPO L’ ELEZZIONI
Nun c’ era un muro senza un manifesto,
Roma s’era vestita d’Arlecchino;
ogni passo trovavi un attacchino
ch’ appiccicava un candidato onesto,
cor programma politico a colori
pe’ sbarbaja’ la vista a l’ elettori.
Promesse in verde, affermazzioni in rosso,
convincimenti in giallo e in ogni idea
ce se vedeva un pezzo de livrea
ch’ er candidato s’era messa addosso
co’ la speranza de servi’ er Paese…
( Viaggi pagati e mille lire ar mese. )
Ma ringrazziamo Iddio ! ‘Sta vorta puro
la commedia è finita, e in settimana
farà giustizia la Nettezza Urbana
che lesto e presto raschierà dar muro
l’ideali attaccati co’ la colla,
che so’ serviti a ingarbujà la folla.
De tanta carta resterà, se mai,
schiaffato su per aria, Dio sa come,
quarche avviso sbiadito con un nome
d’un candidato che cià speso assai…
Ma eletto o no, finché l’avviso dura,
sarà er ricordo d’una fregatura.
(verso 6: sbarbaja’ = abbagliare ; v. 18: ingarbuja’ = confondere)
L’ ELEZZIONE DER PRESIDENTE
Un giorno tutti quanti l’animali
sottomessi al lavoro
decisero d’elegge un Presidente
che je guardasse l’interessi loro.
C’era la Società de li Maiali,
la Società der Toro,
er Circolo der Basto e de la Soma,
la Lega indipendente
fra li Somari residenti a Roma;
eppoi la Fratellanza
de li Gatti soriani, de li Cani,
de li Cavalli senza vetturini,
la Lega fra le Vacche, Bovi e affini…
Tutti pijorno parte a l’adunanza.
Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
de fasse elegge s’era messo addosso
la pelle d’un leone,
disse: — Bestie elettore, io so’ commosso:
la civirtà, la libbertà, er progresso…
ecco er vero programma che ciò io:
ch’è l’istesso der popolo ! Per cui
voterete compatti er nome mio… —
Defatti venne eletto propio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
e allora solo er popolo bestione
s’accorse de lo sbajo
d’avé pijato un ciuccio p’un leone!
— Miffarolo !… Imbrojone !… Buvattaro !…
— Ho pijato possesso: —
disse allora er Somaro — e nu’ la pianto
nemmanco se morite d’accidente.
Peggio pe’ voi che me ciavete messo !
Silenzio ! e rispettate er Presidente !
( ” Miffarolo = Bugiardo ” ; ” Buvattaro = Fanfarone” )
( da Le favole, 1922)
* * *
Par condicio: e dunque un omaggio anche ai ‘magnifici due. . .’
MatteuccioRenzino &
BeppinoGrillettoParlante
li quali, proprio come er numero uno, valgono quarche cosa solo perché una massa de zeri je va’ appresso; l’ omaggio si estende a questa massa de zeri che se credeno er mejo de l’ Italia pronti a ‘na rivoluzione che nun te dico. Obiettivo: per gli altri la ghigliottina, per loro le poltrone e – già che ce semo – el dinero, con annessi e connessi: o l é , e vinca il peggiore (i candidati sono millanta) !
N U M M E R I
– Conterò poco, è vero:
– diceva l’ Uno ar Zero –
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso vôto e inconcrudente.
Io, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
E’ questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.
(da Acqua e vino, 1944)
P. S. La Casa editrice Mondadori ha pubblicato tutte le opere di TRILUSSA, singolarmente o in volume unico; ve le consiglio vivissimamente: ci sarà da divertirsi.
* * * * *
Concludo il discorso ‘politico’ con il grande scrittore abruzzese Ignazio SILONE (1900-1978): un aforisma e due citazioni tratte da Fontamara (titolo del libro di cui consiglio la lettura), il nome della cittadina abruzzese – precisamente nella Marsica – posta al centro della narrazione.
Sono parole di Berardo Viola, un appartenente alla categoria dei ‘cafoni’, cioè i poveri, poverissimi contadini contro i quali si scatenano tutti i potenti e i ricchi (potenti e ricchi sono poi la stessa cosa: principe Torlonia, politici, clero, avvocati, proprietari, industriali…) per rubargli anche il pane e cipolla che costituiscono il loro misero sostentamento, dopo aver lavorato giorno e notte fino a sfiancarsi. Partiamo dall’ inizio:”Ogni governo è sempre composto di ladri” egli ragionava. “Per i cafoni è meglio, naturalmente, che il Governo sia composto di un solo ladro piuttosto che di cinquecento. Perché un gran ladro, per quanto grande sia, mangia sempre meno di cinquecento ladri, piccoli e affamati.”
lo sa.”
“Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
“Poi vengono le guardie del principe.
“Poi vengono i cani delle guardie del principe.
“Poi, nulla.
“Poi, ancora nulla.
“Poi, ancora nulla.
“Poi vengoni i cafoni.
E si può dire ch’è finito.”
Pubblicato prima all’estero (Zurigo, 1933) che in Italia (1947; ediz. definitiva 1953), Fontamara è stato tradotto in una trentina di lingue: un autentico e clamoroso successo mondiale.